Sentenza n. 32 del 1957
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SENTENZA N. 32

ANNO 1957

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Avv. Enrico DE NICOLA, Presidente

Dott. Gaetano AZZARITI

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Dott. Antonio MANCA,

ha pronunziato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 131 del T.U. delle leggi sull'edilizia popolare ed economica, promosso con l'ordinanza 10 gennaio 1956 del Tribunale di Bologna nel procedimento civile tra Zappi Piretti Bianca e la Società Cooperativa Edilizia "Casa Serena", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 141 del 9 giugno 1956 ed iscritta al n. 196 del Reg. ord. 1956.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 5 dicembre 1956 la relazione del Giudice Antonino Papaldo;

udito il vice avvocato generale dello Stato Marcello Frattini.

 

Ritenuto in fatto

 

Nella causa civile Zappi Piretti Bianca contro Soc. Cooperativa "Casa Serena", il Tribunale di Bologna, con ordinanza 10 gennaio - 23 aprile 1956, disponeva la sospensione del giudizio e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per il giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 131 del T.U. approvato con R.D. 28 aprile 1938, n. 1165, sull'edilizia popolare ed economica.

Tale ordinanza, notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri il 3 maggio 1956 e comunicata, addì 27 aprile 1956, ai Presidenti delle due Camere legislative, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica in data 9 giugno 1956.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri é intervenuto nel giudizio per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato con atto del 21 maggio 1956. L'Avvocatura dello Stato ha rilevato che l'eccezione di illegittimità costituzionale é sorta dal dubbio relativo alla natura delle funzioni esercitate dalla Commissione di vigilanza ai sensi del citato art. 131, funzioni che una delle parti in causa riteneva di carattere giurisdizionale, deducendo il difetto di giurisdizione del giudice adito. L'altra parte non contestava la affermazione del carattere giurisdizionale di tali funzioni, ma ne eccepiva la illegittimità costituzionale affermando che, decorso il quinquennio previsto dalla disposizione transitoria VI della Costituzione, deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale delle norme che prevedono giurisdizioni speciali.

L'Avvocatura dello Stato prosegue affermando che il Tribunale ha sollevato la questione, mentre avrebbe dovuto dichiararne la manifesta infondatezza, perché le funzioni esercitate dalla Commissione di vigilanza ai sensi dell'art. 131 del detto testo unico hanno carattere amministrativo e non giurisdizionale. Che si tratti di questione relativa all'art. 131 del T.U. risulta, secondo l'Avvocatura, dalla dichiarazione espressa dell'ordinanza e dall'oggetto della lite indicato con la frase "assegnazione di appartamento", che é appunto una delle materie su cui la Commissione di vigilanza si pronuncia ai sensi del ripetuto art. 131, primo comma, con provvedimento contro il quale, a termini dell'ultimo comma dello stesso articolo, é ammesso un ricorso per illegittimità al Consiglio di Stato. La previsione di tale ricorso basta per definire il provvedimento come atto amministrativo, cosicché questo suo carattere é da molti anni concordemente affermato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione a sezioni unite e del Consiglio di Stato.

L'Avvocatura dello Stato prospetta, poi, il dubbio che, per quanto nella ordinanza si precisi che la questione di legittimità costituzionale fu sollevata contro l'art. 131 in quanto fu ritenuto che esso preveda una giurisdizione speciale, la motivazione sia stata male formulata e con essa si sia invece voluto denunciare una limitazione che la norma pone al ricorso contro il provvedimento della Commissione di vigilanza, ammettendo, contro le decisioni di detto organo, soltanto ricorso al Consiglio di Stato nei casi previsti dall'art. 26 del T.U. 26 giugno 1924, n. 1054.

Può darsi - prosegue l'Avvocatura - che si sia ritenuta la incostituzionalità di tale limitazione della impugnazione in quanto il divieto di ricorso al giudice ordinario lascerebbe senza tutela la eventuale violazione di diritti soggettivi; ma la difesa dello Stato si affretta a soggiungere che in tal caso si sarebbe dovuta denunciare la violazione dell'art. 113 della Costituzione e non riferirsi alla disposizione transitoria di essa, in quanto le funzioni della Commissione di vigilanza riguardano la tutela di interessi legittimi, ma non si può escludere che in qualche caso tale organo debba provvedere in materia di diritti soggettivi: ciò però non muta la natura amministrativa del suo provvedimento e non ne fa un atto giurisdizionale.

Concludendo su questo punto, l'Avvocatura afferma che in nessun caso si poteva attribuire alle funzioni della Commissione di vigilanza previste dall'art. 131 il carattere giurisdizionale speciale: perciò la eccezione di illegittimità costituzionale per trattarsi di giurisdizione, quale é stata formulata, é manifestamente infondata e il Tribunale di Bologna lo avrebbe riconosciuto se, in luogo di arrestarsi alla semplice proposizione dell'incidente fatta dalla parte, ne avesse esaminata la sostanza.

Ma, sempre secondo la difesa dello Stato, la eccezione sarebbe stata ugualmente infondata anche se le funzioni esercitate dalla Commissione di vigilanza ai sensi dell'art. 131 avessero potuto definirsi come giurisdizionali speciali.

L'art. 102 della Costituzione, infatti, sancisce il divieto di costituzione di nuove giurisdizioni speciali, ma nulla dispone per le giurisdizioni - speciali già esistenti e ciò in armonia col principio per cui la Costituzione costituisce vincolo per il legislatore futuro, ma per quanto riguarda la legislazione anteriore propone soltanto problemi di adeguamento rimessi al legislatore, oppure problemi di abrogazione, che nel caso delle giurisdizioni speciali sono espressamente esclusi dalla disposizione transitoria VI.

Tale disposizione, con lo stabilire che entro cinque anni si sarebbe provveduto alla revisione degli organi speciali di giurisdizione, il che tra l'altro non comporta necessariamente che tutte le relative norme debbano in sede di revisione essere soppresse, esclude l'effetto abrogativo, sia pure implicito e cioè per incompatibilità col sistema, sancendo espressamente il perdurare delle giurisdizioni speciali.

L'Avvocatura osserva che nella disposizione deve rilevarsi una duplice manifestazione di volontà legislativa, e cioè in primo luogo la statuizione che le giurisdizioni speciali sono mantenute, e in secondo luogo la statuizione che entro cinque anni deve procedersi alla loro revisione.

La fissazione del termine per l'opera di revisione ha carattere subordinato e secondario e poiché il Costituente ha ritenuto di non stabilire alcuna sanzione per la eventuale inosservanza, non si può dal decorso del termine dedurre la decadenza della statuizione, per cui le norme relative alle giurisdizioni conservano la loro efficacia fino alla revisione, disposizione fondata su evidenti e gravissime ragioni.

Poiché comunque questa disposizione transitoria sancisce la continuazione delle norme relative alle giurisdizioni speciali con espressa riserva di intervento legislativo, non si può chiedere alla Corte di far cessare l'efficacia di tali norme in contrasto con quanto ha voluto il legislatore costituente.

Anche ove si voglia affermare che la inosservanza del termine da parte del legislatore ha carattere di una inadempienza a quanto la Costituzione ha prescritto, ciò può costituire materia di responsabilità politica, ma non di giudizio di legittimità costituzionale, perché la inadempienza non fa venir meno la statuizione della efficacia delle norme relative alle giurisdizioni speciali, che non può considerarsi subordinata al termine.

La questione é già stata sottoposta al giudice ordinario, il quale, con costante giurisprudenza, ha dichiarato che il termine fissato dalla disposizione transitoria VI non ha carattere perentorio.

La difesa dello Stato conclude, chiedendo che la Corte dichiari che la proposta questione di legittimità costituzionale é manifestamente infondata ed in ogni caso non v'ha luogo a pronunciare su questione di legittimità costituzionale di norme anteriori alla Costituzione che prevedano giurisdizioni speciali.

Le parti private non si sono costituite nel giudizio davanti a questa Corte.

All'udienza, l'avvocato dello Stato ha illustrato le sopra riassunte deduzioni e conclusioni.

 

Considerato in diritto

 

Occorre, anzitutto, notare che la conclusione dell'Avvocatura dello Stato nel senso che "non vi ha luogo a pronunciare su questione di illegittimità costituzionale di norme anteriori alla Costituzione che prevedano giurisdizioni speciali" attiene al merito della controversia, in quanto, come risulta da tutto il contesto delle esposte deduzioni, con tale formulazione la difesa dello Stato ha inteso prospettare la infondatezza e non la inammissibilità di un giudizio sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale.

La Corte, prima di procedere all'esame del merito della controversia, deve identificare quale sia la questione sollevata con l'ordinanza del giudice e delimitarne il preciso contenuto; identificazione e precisazione, che costituiscono una esigenza preliminare ed essenziale in qualsiasi giudizio.

L'Avvocatura dello Stato rileva, pur deducendone la manifesta infondatezza, che la questione sicuramente sollevata dal Tribunale é quella relativa al contrasto tra l'art. 131 del T.U. delle leggi sulla edilizia popolare ed economica e la norma transitoria VI della Costituzione, in quanto per effetto di detta norma dovrebbe considerarsi venuta meno la legittimità costituzionale dell'art. 131, ove questo contemplasse funzioni giurisdizionali attribuite alla Commissione di vigilanza; e ciò per essere ormai decorso il termine quinquennale stabilito dalla predetta disposizione VI per la revisione degli organi di giurisdizione speciale.

L'Avvocatura prospetta, inoltre, il dubbio che il Tribunale abbia voluto sollevare un'altra questione, che avrebbe per oggetto il contrasto fra il secondo comma dello stesso art. 131, il quale stabilisce che contro le decisioni della Commissione di vigilanza é ammesso soltanto ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale per motivi di legittimità, e l'art. 113 della Costituzione, che dichiara illegittima qualsiasi limitazione della tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione. Il contrasto avrebbe luogo in quei casi in cui la Commissione di vigilanza deciderebbe in materia di diritti, per la cui tutela, demandata al giudice ordinario, la limitazione del ricorso al giudice amministrativo in sede di legittimità sarebbe costituzionalmente illegittima.

Ma la Corte ritiene che il dubbio prospettato dall'Avvocatura sia senza alcuna base, giacché, pur essendo l'ordinanza del Tribunale piuttosto laconica, é palese, in relazione agli atti del processo e alle deduzioni delle parti, che la questione sollevata non é quella relativa ad un contrasto tra il secondo comma dell'art. 131 del T.U. e l'art. 113 della Costituzione, bensì quella inerente al contrasto tra il primo comma dello stesso art. 131 e la disposizione VI della Costituzione nel senso dianzi prospettato.

La Corte, quindi, non ha ragione di prendere in esame la questione della legittimità costituzionale del secondo comma dell'articolo 131, in riferimento all'art. 113 della Costituzione - questione che resta assolutamente impregiudicata - ma deve limitare la propria pronuncia all'unica questione dedotta in questa sede: questione che ha già per oggetto la determinazione del carattere giurisdizionale o amministrativo delle funzioni della Commissione di vigilanza al fine di stabilire, ove si giudichi che esse abbiano carattere giurisdizionale, se, a norma della VI disposizione transitoria in relazione agli artt. 102 e 103 della Costituzione, e per effetto della mancata revisione nel quinquennio, sia venuta meno la legittimità costituzionale della norma dell'art. 131.

Ma la Corte ritiene che sia chiaro il carattere amministrativo delle funzioni della Commissione di vigilanza previste dal primo comma dell'art. 131.

Tale carattere risulta, anzitutto, palese dal testo della legge.

L'art. 131, nel secondo comma, prevede il ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale avverso i provvedimenti della Commissione di vigilanza, considerandoli chiaramente come amministrativi: contro atti di giurisdizione non sarebbe stato contemplato un rimedio che, nel nostro ordinamento, costituisce una tipica forma di tutela ammessa esclusivamente nei riguardi degli atti amministrativi. Ciò trova conferma nello stesso art. 131, il quale, nel fare un rinvio al successivo articolo 239 per le controversie in materia di condominio, mette in evidente rilievo che la risoluzione di queste ultime controversie ha carattere giurisdizionale, tanto che l'art. 239 espressamente prevede il ricorso alle Sezioni unite della Corte di cassazione.

Ma anche l'esame delle funzioni demandate alla Commissione di vigilanza porta ad escludere che esse abbiano natura giurisdizionale. Le funzioni, contemplate nei numeri 3 (esprimere pareri) e 4 (adempiere ad incarichi speciali affidati dal Ministro) dell'art. 131, non presentano alcun dubbio circa il loro carattere schiettamente amministrativo; ma non diverso carattere hanno le funzioni delle quali si occupa il numero 1 dello stesso articolo (decidere in via definitiva su tutte le controversie attinenti alla prenotazione ed all'assegnazione degli alloggi, alla posizione e qualità di socio od aspirante socio nonché sulle controversie tra socio e socio ovvero tra socio e cooperativa, in quanto riguardino rapporti sociali) e quelle contemplate nel numero 2 (decidere su abusi, irregolarità, nonché sulle contravvenzioni alle norme vigenti e comminare le relative sanzioni). Trattasi di decisioni di controversie in sede amministrativa, come risulta anche dall'inciso "decidere in via definitiva", che é riferibile agli atti amministrativi non più suscettibili di ricorso gerarchico; e trattasi di sanzioni amministrative, inflitte da un organo amministrativo per violazione di carattere non penale (é evidente che la parola "contravvenzione" non é usata nel senso proprio di reato, bensì di violazione o infrazione).

Per quanto il procedimento davanti alla Commissione di vigilanza presenti garanzie di difesa per gli interessati, queste non sono tali da attribuire al procedimento stesso carattere giurisdizionale, non mancando nel nostro ordinamento, quando trattisi di decisioni amministrative che toccano interessi in contrasto, garanzie del genere. Né la decisione ha carattere giurisdizionale, non potendo invocarsi per essa la cosa giudicata. Come si é detto, queste decisioni hanno carattere definitivo; sono, cioè, atti amministrativi contro i quali é ammissibile direttamente il ricorso al giudice amministrativo.

Queste osservazioni valgono ad escludere il carattere giurisdizionale delle decisioni delle quali trattasi, in conformità, del resto, alla giurisprudenza delle magistrature superiori, ordinarie e amministrative.

Posta la natura amministrativa dell'organo e delle sue funzioni, non vi é luogo ad esaminare la questione relativa agli effetti della mancata revisione di cui alla disposizione transitoria VI della Costituzione; questione che, al pari di quella avente per oggetto la legittimità costituzionale del secondo comma dell'art. 131 in riferimento all'art. 113 della Costituzione, resta del tutto impregiudicata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione proposta con ordinanza del Tribunale di Bologna in data 10 gennaio 1956 sulla legittimità costituzionale della norma contenuta nel primo comma dell'articolo 131 del T.U. delle disposizioni sull'edilizia popolare ed economica, approvato con R.D. 28 aprile 1938, n. 1165, in riferimento alle norme degli artt. 102 e 103 e della VI disposizione transitoria della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 gennaio 1957.

 

 Enrico DE NICOLA - Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO

Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA

 

Depositata in cancelleria il 26 gennaio 1957.